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Una razza inusuale dal paese del Sol levante

Quando si parla del binomio Giappone e pet si pensa subito alle maestose carpe koi o a razze canine come lo shiba inu. In realtà i gatti, specie quelli appartenenti a quelle razze autoctone, rivestono un importante ruolo culturale con numerosi riflessi che permeano da secoli l’intero tessuto sociale. Tra le razze più iconiche e influenti troviamo il japanese bobtail, un felino dalle peculiari caratteristiche fisiche.

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Un’origine misteriosa

Le rappresentazioni più iconiche di questa razza sono databili tra il 1600 e il 1800, durante il periodo Edo. A quel tempo era molto di moda acquistare e donare stampe su carta ottenute attraverso l’apposizione di matrici di legno, denominate Ukyo-e. Protagonista di queste opere d’arte era spesso proprio il japanese bobtail. Esposte in grandi musei come il Metropolitan Museum di New York, raffigurano donne e uomini intenti a prendersi cura del proprio gatto oppure addirittura felini antropomorfizzati che praticano attività umane.
Sembra che il japanese bobtail fosse stato importato in Giappone dai monaci buddisti provenienti da Cina e Korea per proteggere documenti e pergamene sacre dai ratti. Durante tutto il periodo Heian (796-1185) i gatti erano considerati un’esclusiva delle classi nobili, la stessa famiglia imperiale viene associata a una lunga tradizione cat friendly.
I gatti non erano considerati solo animali da compagnia, ma elementi fondamentali della società. Rammentiamo un decreto del 1602 con il quale si ordinò che tutti i gatti venissero lasciati liberi di muoversi all’aperto. Alla base di questa decisione vi era la volontà di cercare di contrastare i danni provocati dai roditori. L’importanza di questi felini era tanto fondamentale da renderli ambiti oggetti di compravendita. Nelle regioni dedite all’allevamento dei bachi da seta, per esempio, venivano impiegati a difesa delle larve dai topi. Per questo si dice che il loro valore valesse cinque volte quello di un cavallo.
Le prime testimonianze in occidente dell’esistenza del japanese bobtail ci arrivano dal naturalista tedesco Kaempfer. Questo autore riportava infatti come nelle case giapponesi fosse rinvenibile prevalentemente una razza di gatti caratterizzati da una coda ripiegata e mozza, pelo corto e mantello con macchie di colore nero, bianco e giallo.
Dai risultati di alcuni studi è emerso comunque che, nonostante sia opinione comune che il japanese bobtail nasca nell’estremo oriente, non è possibile tracciarne con certezza le origini. La genetica mostra in effetti che questa razza potrebbe essere frutto dell’ibridazione tra gatti occidentali e orientali.

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Il segreto della coda

La caratteristica più spiccata del japanese bobtail è senz’altro la sua coda. Su di essa sono state sviluppate numerose leggende legate al mondo degli spiriti.
Si racconta per esempio di un gatto a cui bruciò la coda a seguito di un incendio e che, mentre scappava, diede fuoco a diverse case e negozi. Per evitare che simili eventi potessero ripetersi, l’imperatore ordinò allora di tagliare la coda a tutti i gatti del Giappone.
Ovviamente la storia di questo attributo è in realtà ben diversa. Diversi studi genetici sono stati condotti sul tema e in particolare nel 2014 è stato pubblicato un lavoro di alcuni ricercatori dell’Università di Davis e Columbia Missouri che ha dimostrato come la morfologia tipica della coda di questa razza sia il risultato di una ereditarietà autosomica dominante. È possibile inoltre osservare una riduzione del numero di vertebre caudali (vista le piccole dimensioni della coda), la presenza di emivertebre, la modificazione del numero delle vertebre stesse (formula vertebrale di specie) e persino l’esistenza di vertebre transizionali. Queste anomalie numerico/strutturali non coincidono però in questa razza con un aumento della mortalità.

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Tra cultura pop e moderna internazionalizzazione

A partire dagli anni ’70 dello scorso secolo la cultura giapponese antica e moderna ha conquistato il mondo. Personaggi, prodotti elettronici, alimentazione, icone pop giapponesi sono diventati parte integrante delle nostre vite. Il japanese bobtail è riconoscibile non solo in alcuni manga e serie tv per appassionati ma anche in oggetti che abbiamo in casa. Ne è un esempio il cosiddetto maneki-neko, ovvero quel gattino iconico in ceramica che accoglie l’ospite, in casa o nei negozi, con la zampa alzata nella tipica posa con il palmo rivolto verso il visitatore e le falangi verso il basso. Si tratta di un simbolo antico della tradizione oggetto di miti e leggende. Per esempio, ancora oggi il tempio di Setagaya Ward, vicino a Tokio, è adornato di numerosi maneki-neko tradizionali, bianchi con il collarino rosso, perché nel 1600 il governatore della città fu salvato da un fulmine grazie all’intervento del gatto Tama. Lo stesso Hello Kitty, personaggio e brand miliardario nato nel 1974, non sarebbe altro che un’antropomorfizzazione che probabilmente prende spunto dal japanese bobtail.

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Alcuni parametri dello standard di razza

Il japanese bobtail è una razza di medie dimensioni il cui corpo è muscoloso ma allo stesso tempo lungo e stretto. Il muso è arrotondato, mostra zigomi alti e naso rettilineo; nel complesso la testa ha la forma di un triangolo equilatero. Le orecchie, grandi e dritte, trasmettono un senso di costante attenzione. Gli occhi hanno una forma ovale e sono infossati quando osservati di profilo. Le zampe posteriori sono più lunghe di quelle anteriori. La coda ha una lunghezza compresa tra i 5 e gli 8 cm anche se in alcuni esemplari può raggiungere i 10 cm. Dritta o con una o più curvature e relativi angoli e con pelo in genere più folto di quello presente sul corpo. Il mantello deve presentarsi nel complesso morbido, corto e serico; tutte le varietà di colorazioni sono accettate tranne silver, ticked tabby e pointed. Tra le più apprezzate in Giappone vi è la colorazione mi-ke, ossia bianca con macchiette nere e gialle su testa e coda. Una delle caratteristiche più tipiche nell’etologia della razza è l’elevato grado di vocalizzazione, tanto che il japanese bobtail viene definito “singing cat”, proprio perché interagisce molto attraverso miagolii di differente tono.

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